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Come si ripartisce la pensione di reversibilità fra coniuge superstite e coniuge divorziato (titolare di assegno)?

L'articolo 9, terzo comma, della legge 898/1970 prevede che “Qualora esista un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, una quota della pensione e degli altri assegni a questi spettanti è attribuita dal Tribunale, tenendo conto della durata del rapporto, al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e che sia titolare dell'assegno di cui all'art. 5. Se in tale condizione si trovano più persone, il Tribunale provvede a ripartire fra tutti la pensione e gli altri assegni, nonché a ripartire tra i restanti le quote attribuite a chi sia successivamente morto o passato a nuove nozze”.

Tale disposizione indica dunque solo la “durata del rapporto” quale criterio per la ripartizione della quota di pensione di reversibilità e degli altri assegni tra il coniuge superstite e il coniuge divorziato (purché titolare di assegno divorzile).

Con sentenza n. 419 del 1999, la Corte Costituzionale ha stabilito che “La ripartizione della pensione di reversibilità tra il coniuge superstite e l'ex coniuge deve essere disposta “tenendo conto” della durata dei rispettivi rapporti matrimoniali (art. 9, comma 3, della legge n. 898 del 1970). A questa espressione non può essere tuttavia attribuito un significato diverso da quello letterale: il giudice deve “tenere conto” dell'elemento temporale, la cui valutazione non può in nessun caso mancare; anzi a tale elemento può essere riconosciuto valore preponderante e il più delle volte decisivo, ma non sino a divenire esclusivo nell'apprezzamento del giudice, la cui valutazione non si riduce ad un mero calcolo aritmetico. Una conferma del significato relativo della espressione “tenendo conto” si trova nel sistema della stessa legge, che altre volte usa la medesima espressione per riferirsi a circostanze da considerare quali elementi rimessi alla ponderazione del giudice; e ciò proprio per definire i rapporti patrimoniali derivanti dalla pronuncia di divorzio (cfr. art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970)”.

Quali sono i criteri per la ripartizione della pensione di reversibilità?

Accanto al criterio principale costituito dalla durata legale del matrimonio bisogna perciò considerare ulteriori criteri correttivi indicati dalla stessa legge n. 898/1970, dall'elaborazione dottrinale e dalla giurisprudenza. Così, accanto agli “elementi” di cui all'articolo 5, sesto comma, della legge n. 898/1970, ossia:

- condizioni dei coniugi;

- ragioni della decisione;

- contributo personale alla conduzione familiare;

- contributo economico alla conduzione familiare;

- contributo per la formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune;

- reddito di entrambi; tutti valutati anche in rapporto alla durata del matrimonio;

rilevano altresì i seguenti elementi:

- durata della convivenza prematrimoniale del coniuge superstite (Cass. n. 16602/2017; Cass. n. 14793/2014; Cass. n. 10391/2012; Cass. n. 26358/2011; Cass. n. 25511/2010; Cass. n. 23379/2004);

- durata della convivenza prematrimoniale del coniuge divorziato (Cass. n. 16602/2017; Cass. n. 26358/2011; Cass. n. 25511/2010);

- ammontare dell'assegno goduto dal coniuge divorziato (Cass. n. 16602/2017; Cass. n. 10391/2012; Cass. n. 25511/2010; Cass. n. 18199/2006; Cass. n. 23379/2004; Cass. n. 3037/2001; Cass. n. 282/2001; Cass. n. 2920/2000);

- condizioni economiche del coniuge superstite e del coniuge divorziato (Cass. n. 16602/2017; Cass. n. 14793/2014; Cass. n. 25511/2010; Cass. n. 18199/2006; Cass. n. 3037/2001; Cass. n. 282/2001; Cass. n. 2920/2000);

- condizioni di salute del coniuge superstite e del coniuge divorziato (Cass. n. 26358/2011);

- differenza di età fra coniuge superstite e coniuge divorziato e conseguente capacità lavorativa (Cass. n. 26358/2011; Trib. Prato 16 luglio 2015);

- contributo dato da ciascun coniuge, durante i rispettivi matrimoni, alla famiglia (Cass. n. 8734/2009);

- vicinanza al de cuius prima della sua morte.

Quanto al criterio principale, dottrina e giurisprudenza precisano che la “durata del matrimonio coincide(nte) con la sua durata legale e cioè, quanto al coniuge divorziato, dalla celebrazione del matrimonio sino al divorzio” (ex multis Cass. n. 10669/2007; Cass. n. 3037/2001; Cass. n. 8477/1997).

Deve dunque considerarsi, a tal fine, il periodo di tempo che intercorre fra la data del matrimonio e la data della sentenza di divorzio e non, invece, il periodo di tempo che intercorre fra la data del matrimonio e la sentenza di separazione ovvero, se precedente, il provvedimento che autorizzi i coniugi a vivere separati.

Quanto ai criteri correttivi, dottrina e giurisprudenza precisano che la loro ratio risiede nello “scopo di evitare – per quanto possibile in relazione alla situazione determinatasi con la morte del 'de cuius' – che il primo coniuge sia privato dei mezzi indispensabili per il mantenimento del tenore di vita che gli avrebbe dovuto assicurare nel tempo l'assegno di divorzio ed il secondo sia privato di quanto necessario per la conservazione del tenore di vita che il 'de cuius' gli aveva assicurato in vita” (ex multis Cass. n. 25511/2010; conformi: Cass. n. 16602/2017; Cass. n. 14793/2014; Cass. n. 10391/2012; Cass. n. 282/2001; Trib. Prato 16 luglio 2015).

Individuati la durata legale del matrimonio (criterio principale) e i criteri correttivi del caso, il giudice dovrà ponderarne la rilevanza senza tuttavia sovvertire il valore – rispettivamente principale e correttivo – delle due categorie di elementi: il criterio della durata legale del matrimonio ha infatti “valore preponderante e il più delle volte decisivo, ma non esclusivo”(Cass. n. 14793/2014; Cass. n. 10391/2012; Cass. n. 25511/2010; Cass. n. 3037/2001; Cass. n. 282/2001), sicché “la ponderazione in concreto dei diversi parametri rientra nel prudente apprezzamento del giudice del merito, fermo restando il divieto di giungere, attraverso la correzione del criterio temporale, sino al punto di abbandonare totalmente ogni riferimento alla durata dei rispettivi rapporti matrimoniali”(ex multis Cass. n. 14793/2014).

Nei prossimi articoli si prenderanno in considerazione alcuni ulteriori aspetti di dettaglio sotto il profilo sostanziale e processuale:

- parliamo della disciplina in tema di buonuscita;

- parliamo degli aspetti procedurali, fra cui le modalità di introduzione del contenzioso giurisdizionale, sia per l'ottenimento della pensione che per la buonuscita.

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AGGIORNAMENTO: LA RINUNCIA ALL'ASSEGNO DIVORZILE E LA CONSEGUENTE RINUNCIA AL TFR 

Recentemente il tribunale di Mantova ha stabilito che la rinuncia all’assegno divorzile, formalizzata dall’ex coniuge con atto transattivo successivo alla sentenza di divorzio, è valida e comporta il venir meno del diritto dell'ex coniuge alla pensione di reversibilità (pronuncia del 2 novembre 2020).   

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