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Di recente si è rivolto al nostro studio il socio di minoranza di una s.n.c. con il desiderio di recedere, se possibile, dalla società. 

Acquisito lo statuto, è emerso che la durata della società era stata prevista fino al 2040 e che mancava qualsiasi previsione espressa in relazione al diritto di recesso dei soci; c'era solo il tipico richiamo alle norme di legge. 

Il socio ci ha comunicato di voler recedere in quanto, a suo dire, era venuto meno il rapporto di fiducia con il socio di maggioranza, a suo dire responsabile di una gestione scorretta che gli avrebbe anche arrecato dei danni patrimoniali.

Per legge, dalle società di persone si può recedere solo se si verificano le ipotesi contemplate dall’articolo 2285 del codice civile e, in particolare: 

1. se la società è contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci, ogni socio può recedere liberamente con il solo onere di darne comunicazione agli altri soci con un preavviso di almeno tre mesi; la dottrina ritiene che questa disciplina si applichi anche al caso in cui il termine fissato sia così lontano nel tempo da superare la durata della vita di uno dei soci oppure quando sia previsto un oggetto sociale il cui raggiungimento richieda un tempo superiore alla vita di uno dei soci;

2. se, invece, la società è contratta a tempo determinato, il recesso è ammesso per legge solo se sussiste una giusta causa e ha effetto appena pervenuto a conoscenza degli altri soci.

Il concetto di giusta causa è tradizionalmente interpretato dalla giurisprudenza in senso estremamente restrittivo: fin dalla sua prima pronuncia sul tema, la Cassazione ha stabilito che la giusta causa ricorre quando il comportamento del socio recedente costituisce una legittima reazione a un contegno degli altri soci tale da fare venir meno la fiducia in essi riposta. Si tratta, cioè, del caso in cui gli altri soci siano venuti meno agli obblighi contrattuali o ai doveri di fedeltà, di lealtà, di diligenza o di correttezza, così da compromettere la natura fiduciaria del rapporto.

Facciamo tre esempi di situazioni in cui ricorre la giusta causa:
1. se il recesso è conseguenza dell’estromissione del socio dall’amministrazione e dalla gestione della società;
2. se la società non restituisce al socio somme da questi prestate.;
3. se l’amministratore viola reiteratamente l’obbligo di rendere conto della gestione sociale e dell’andamento della società.

A differenza della giurisprudenza, la dottrina accoglie un’accezione ampia ed elastica del concetto di giusta causa, identificandola anche in situazioni NON necessariamente collegate al comportamento scorretto o inadempiente degli altri soci; anche qui facciamo tre esempi:
1. dissidio insanabile tra soci;
2. conclusione di contratti rischiosi da parte del socio amministratore;
3. vicende personali del socio quali una malattia o l’età avanzata.

In definitiva, per integrare il concetto di giusta causa non basta che il socio che abbia avuto un semplice diverbio con gli altri componenti della società oppure che legittimamente senta l’esigenza di mettersi in proprio.

E, proprio al fine di evitare che il socio rimanga sostanzialmente “prigioniero” della società, la legge prevede che lo statuto possa indicare ulteriori ipotesi di recesso. Tuttavia, la dottrina maggioritaria ritiene che lo statuto non possa consentire di recedere ad nutum, ossia senza fornire alcuna motivazione, anche se l’opinione è discussa.

Tornando al caso di specie, trattandosi di società a tempo determinato il cui statuto nulla prevede espressamente in punto di recesso, abbiamo informato il nostro cliente che può recedere solo per giusta causa. Acquisiti ulteriori elementi, anche probatori, sulla mala gestio del socio di maggioranza, abbiamo ritenuto che vi fossero le condizioni per esercitare il recesso per giusta causa, e questo per la seguente ragione: il socio di maggioranza aveva effettivamente tenuto condotte di gravità tali, sotto il profilo della correttezza e della buona fede, da:
1. giustificare la sfiducia del socio di minoranza;
2. determinare un dissidio che aveva comportato, di fatto, la paralisi della società.

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Qui l'articolo completo e scaricabile: IL SOCIO PRIGIONIERO DELLA S.N.C. E IL DIRITTO DI RECESSO

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