CASE STUDY: banche, correntisti e diamanti
Negli ultimi anni si sono rivolti allo studio alcuni correntisti indotti dai dipendenti di un istituto di credito ad acquistare diamanti venduti da una società terza con la definizione, a seconda dei casi, di “beni rifugio” o “investimento sicuro”.
Come si è appreso dalla cronaca, il prezzo di vendita di tali diamanti è stato spesso determinato in misura di molto superiore al loro valore di mercato, senza che di ciò gli istituti di credito e la società terza abbiano informato i correntisti.
Addirittura, nei casi trattati dallo studio i clienti hanno riferito di aver ricevuto, in filiale, la rassicurazione che in qualsiasi momento essi avrebbero potuto “restituire i diamanti e ottenere il rimborso del prezzo pagato per acquistarli”.
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Di recente, la INTERMARKET DIAMOND BUSINESS s.p.a., una delle società che hanno venduto diamanti a molti correntisti, è stata dichiarata fallita con sentenza del tribunale di Milano n. 43 del 15 gennaio 2019 – R.F. 41/2019 – giudice delegato dottoressa Alida Paluchowski – curatore avvocato Maria Grazia Giampieretti.
Purtroppo, alcuni correntisti non sono stati informati adeguatamente che l’udienza di verifica si sarebbe svolta l’8 aprile 2019. In alcuni casi, i clienti non hanno ricevuto dal curatore la comunicazione prevista dall’articolo 92 legge fallimentare, forse per assenza di anagrafiche complete e aggiornate dei proprietari dei diamanti custoditi dalla società fallita – ma sono stati informati dalle filiali di riferimento, pochi giorni prima dell’udienza e in termini imprecisi.
I clienti dello studio avevano tutti scelto di lasciare i diamanti in custodia presso la società terza; pertanto, per ciascuno di loro abbiamo predisposto e inviato al curatore fallimentare:
- domanda di restituzione dei beni mobili in custodia presso la società fallita ai sensi dell’articolo 87 bis legge fallimentare;
- domanda di restituzione e rivendica ai sensi dell’articolo 93 legge fallimentare;
- domanda di insinuazione al passivo ai sensi dell’articolo 93 legge fallimentare;
ciò in quanto era ignoto se i diamanti fossero stati inclusi nell’inventario.
Le istanze sono state presentate separatamente anche per agevolare il lavoro del curatore fallimentare (il cui studio è stato sommerso da migliaia di domande), il quale dunque potrà gestite separatamente le istanze, trattando ciascuna insieme alle altre istanze omogenee.
Nel contempo, ovviamente, lo studio ha predisposto i reclami nei confronti della banca, evidenziando i comportamenti illegittimi del caso.
A quanto si è appreso, il numero delle domande di ammissione al passivo è stato di gran lunga superiore alle previsioni e ha comportato per il curatore fallimentare l’impossibilità pratica non solo di esaminare tutte le domande ma, ancor prima, di completare le attività preliminari di creazione delle anagrafiche dei creditori.
Il giudice delegato, quindi, ha fissato tre nuove udienze per la verifica dello stato passivo e l’esame delle domande di rivendica, che si terranno a novembre 2019, nonché un’udienza dedicata alle sole istanze di restituzione presentate ai sensi dell’articolo 87 bis legge fallimentare, che si terrà a ottobre 2019.
I clienti che hanno lasciato i diamanti in custodia alla società fallita e che sono in attesa di sapere se e quando potranno tornare in possesso dei loro diamanti dovranno perciò attendere sino a ottobre 2019, salvo eventuali ulteriori rinvii dell’udienza fissata per l’esame delle istanze di restituzione.
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Aggiornamento del 24 maggio 2019
IL TRIBUNALE DI VERONA DECIDE SUL CASO DIAMANTI E CONDANNA LA BANCA
Con ordinanza del 20 maggio 2019 il tribunale di Verona, nella persona del giudice dottor Massimo Vaccari, ha condannato Banco BPM a corrispondere a chi aveva acquistato i diamanti "la somma di euro 32.206,66, oltre interessi legali dalla data della notifica del ricorso introduttivo del presente giudizio al saldo effettivo e alle spese di lite".
In particolare, il danno è stato quantificato nella differenza tra il prezzo pagato e il reale valore dei diamanti, determinato in circa UN QUARTO del loro prezzo pagato sulla base dei parametri Rapaport, un listino che esprime valori di riferimento universalmente riconosciuti (il dato peraltro conferma l'erroneità delle informazioni che la banca e la società che aveva venduto i diamanti resistenti avevano dato al cliente sulla persistenza del valore dei preziosi).
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Aggiornamento del 19 novembre 2019
IL TRIBUNALE DI MODENA DECIDE SUL CASO DIAMANTI E CONDANNA LA BANCA
Con ordinanza del 19 novembre 2019, il tribunale di Modena ha condannato la banca a risarcire il danno subito dal cliente, quantificato nella differenza tra il valore del diamante e il prezzo corrisposto per il suo acquisto, in applicazione di un criterio già adottato dal tribunale di Verona.
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Aggiornamento del 3 dicembre 2019
IL TRIBUNALE DI LUCCA DECIDE SUL CASO DIAMANTI E CONDANNA LA BANCA
Con sentenza n. 1674 del 22 novembre 2019, il tribunale di Lucca ha condannato Banco BPM a risarcire il danno subito dal cliente, quantificato nella differenza tra il valore del diamante e il prezzo corrisposto per il suo acquisto, in applicazione di un criterio già adottato dal tribunale di Verona.
Il tribunale di Verona aveva escluso che il diamante fosse assimilabile a uno strumento finanziario, per cui il cliente non poteva richiamare la disciplina relativa agli investimenti finanziari al fine di invocare la responsabilità dell'intermediario.
Per il tribunale di Lucca, invece, non c'è alcuna differenza tra un diamante e un titolo azionario: in entrambi i casi, infatti, il cliente acquista a scopo di investimento. La banca avrebbe dovuto fornire informazioni corrette e complete in relazione al mercato di riferimento del bene acquistato e ai relativi fattori di rischio.
Lo studio assiste clienti che hanno acquistato diamanti in condizioni analoghe a quelle di cui si sono occupati i tribunali di Verona e Lucca, le cui pronunce verranno quindi valorizzate nelle sedi opportune, così come è già stato fatto nei confronti della procedura fallimentare che coinvolge IDB, società che aveva venduto i diamanti in entrambi i casi di cronaca.
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Aggiornamento del 10 marzo 2020
ANCHE IL TRIBUNALE DI MODENA DECIDE SUL CASO DIAMANTI A SFAVORE DELLA BANCA
Il tribunale di Modena consolida l'orientamento giurisprudenziale per cui la banca è responsabile nei confronti dei clienti per non aver adempiuto gli obblighi di informazione e protezione che derivano dal contratto stipulato tra le parti.
Nello specifico, la banca è stata dichiarata responsabile per non aver informato il cliente del valore reale delle pietre in relazione al corrispettivo pagato. La sollecitazione del cliente a investire i risparmi nell'acquisto dei diamanti, infatti, configura una delle attività accessorie che la banca può svolgere ai sensi dell'articolo 8, comma 3, del D.M. Tesoro del 6 luglio 1994.
La sentenza è rilevante anche nella parte in cui quantifica il danno risarcibile: per il tribunale di Modena il danno subito dal cliente è pari al prezzo corrisposto per l'acquisto dei diamanti, in quanto l'informazione omessa è stata determinante per la stipula del contratto di compravendita. Tuttavia, si deve considerare anche che i clienti erano - e sono rimasti - proprietari dei diamanti: il valore reale delle pietre all'epoca dell'acquisto, pertanto, è stato considerato (in diminuzione) per ridurre l'ammontare del danno infine liquidato.
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