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Nell'istituire le sezioni specializzate in materia d'impresa, il D.lgs. 168/2003 ne circoscrive la competenza alle cause e ai procedimenti relativi a rapporti societari ivi compresi quelli concernenti l'accertamento, la costituzione, la modificazione o l'estinzione di un rapporto societario”.

Poiché tale ampio riferimento ai “rapporti societari” non ricomprende espressamente il rapporto fra gli amministratori e la società, ci si chiede se le relative controversie rientrino nell'ambito di competenza del c.d. tribunale delle imprese.

La giurisprudenza di legittimità ha precisato che tra i “rapporti societari” cui si riferisce il D.lgs. 168/2003 in tema di sezioni specializzate in materia d'impresa “non può non comprendersi, data l'essenzialità del rapporto di rappresentanza in capo agli amministratori come rapporto che, essendo funzionale, secondo la figura della c.d. immedesimazione organica, alla vita della società, consente alla società di agire, il rapporto fra società e amministratori” specificando altresì che “tale rapporto è rapporto “di società”, perché serve ad assicurare l'agire della società” (Cass. sentenza n. 14369 del 9 luglio 2015).

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Quid iuris, in particolare, quando l'amministratore agisca per recuperare un credito corrispondente al compenso per l'attività svolta a favore della società?

Per inciso, nel concetto di compenso dell'amministratore rientra anche il trattamento di fine mandato (TFM), in quanto corrispettivo differito che una società può riconoscere ai propri amministratori al termine dell'incarico svolto.

Sebbene il TFM non sia disciplinato espressamente dalla legge, la dottrina ne individua la base normativa nel combinato disposto degli articoli 2120 c.c. (in tema di trattamento di fine rapporto del lavoratore subordinato) e 2364 c.c. (che tra i diversi compiti che attribuisce all'assemblea ordinaria della s.p.a. enuclea anche quello di determinare il compenso spettante ad amministratori e sindaci, se questo non è già stabilito dallo statuto). Appare quindi evidente la contiguità tra TFM e TFR, istituto tipico dell'ambito giuslavoristico.

Si potrebbe ipotizzare che una controversia fra amministratore e società in punto di compenso (TFM compreso) sia di competenza non della sezione specializzata ma del giudice del lavoro (per cui dovrebbe seguire il relativo rito di cui agli articoli 409 e ss. c.p.c.).

Sul punto, la Cassazione ha affermato che l'orientamento che assoggettava al rito del lavoro le controversie relative al compenso degli amministratori (cristallizzato nella sentenza delle Sezioni Unite n. 10680 del 14 dicembre 1994) non è più compatibile con i recenti interventi normativi e giurisprudenziali che hanno escluso la natura subordinata o parasubordinata del rapporto tra l'amministratore e la società e che hanno “attribuito al tribunale delle imprese la competenza relativa alle controversie in materia di rapporti societari che […] coinvolgono amministratori e società”, non essendo opportuno operare una distinzione “fra le controversie che riguardino l'agire degli amministratori nell'espletamento del rapporto organico e i diritti che, sulla base dell'eventuale contratto che la società e l'amministratore abbiano stipulato, siano riconosciuti a titolo di compenso” (Cass. Sent. n. 2759 dell'11 febbraio 2016).

Chiarito che tutte le controversie attinenti al rapporto tra amministratore e società rientrano nella competenza delle sezioni specializzate in materia d'impresa, occorre valutare se il relativo giudizio possa essere introdotto tramite ricorso ex articolo 702 bis c.p.c., cioè nelle forme del procedimento sommario di cognizione, ovvero con rito ordinario.

Il combinato disposto degli articoli 702 bis, comma 1, c.p.c., e 50 bis c.p.c. depone per la seconda ipotesi.

Infatti:

- l'articolo 702 bis c.p.c. prescrive che il rito sommario possa essere scelto solo “nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica”, così escludendo che il procedimento sommario operi per le cause di competenza del tribunale in composizione collegiale;

- l'articolo 50 bis c.p.c. specifica che, nelle cause devolute alle sezioni specializzate, il tribunale giudica in composizione collegiale;

dal che emerge una riserva di collegialità per tutte le controversie di competenza del tribunale delle imprese e, di conseguenza, la loro sottrazione al rito sommario.

Quale sarebbe la conseguenza di aver introdotto un giudizio davanti alla sezione specializzata in materia di impresa con ricorso ex articolo 702 bis c.p.c.?

L'articolo 702 ter c.p.c. è tranchant nel prescrivere che il giudice, rilevato che la domanda non rientra tra quelle indicate dall'articolo 702 bis c.p.c. (perché di competenza del tribunale in composizione collegiale), “la dichiara inammissibile” con ordinanza non impugnabile e provvede sulle spese.

Si tratta di una soluzione derogatoria rispetto al principio generale di conservazione degli effetti processuali e sostanziali della domanda di cui agli articoli 281 septies e ss. c.p.c., che parte della dottrina ha per ciò ritenuto inutilmente drastica, reputando più opportuna la conversione del rito.

Se l'inappellabilità dell'ordinanza appare pacifica, è invece discusso se tale provvedimento possa essere oggetto di ricorso per cassazione; di certo la statuizione sulle spese contenuta nel provvedimento di inammissibilità, trattandosi di pronuncia definitiva e non altrimenti censurabile, deve ritenersi impugnabile dinanzi al giudice di legittimità.

 

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