La proposta di legge sull’assegno divorzile
Da poco è iniziato l’esame in Parlamento di una proposta di legge (la C-506, assegnata alla II Commissione Giustizia) per la modifica dell’articolo 5, comma 6, legge n. 898/1970, che disciplina “l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”, la cui interpretazione è stata fortemente discussa negli ultimi anni.
La proposta di legge intende superare i contrasti giurisprudenziali in materia di assegno divorzile affermando che “il tribunale può disporre l’attribuzione di un assegno a favore di un coniuge destinato a equilibrare, per quanto possibile, la disparità che lo scioglimento o la cessazione degli effetti del matrimonio crea nelle condizioni di vita rispettive dei coniugi”.
Con l’eliminazione del riferimento all’assenza per il richiedente di “mezzi adeguati” e l’impossibilità di procurarseli per “ragioni oggettive”, il progetto di modifica dell’articolo 5, legge n. 898/1970 (applicabile alle unioni matrimoniali e alle unioni civili), indica quale unico presupposto per l’ottenimento dell’assegno la disparità economica fra le parti che consegue alla separazione dei loro patrimoni.
Tale prospettiva si pone in contrasto con l’evoluzione della giurisprudenza, per la quale la presenza di mezzi adeguati a disposizione del coniuge richiedente l’assegno ha costituito presupposto ineliminabile per il riconoscimento del diritto di percepirlo, inteso come “strumento di tutela” e non come mera occasione di rendita.
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Storicamente, la formulazione originaria dell’articolo 5, legge n. 898/1970 – pensata per un contesto sociale ben diverso da quello attuale – non indicava l’assenza di “mezzi adeguati” o l’impossibilità di procurarseli “per ragioni oggettive” come presupposto per il riconoscimento dell’assegno (modifiche introdotte con legge n. 74/1987).
Per stabilire se e in che misura un coniuge avesse diritto all’assegno, il legislatore prevedeva che il tribunale dovesse tener conto delle condizioni economiche dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di entrambi.
Gli elementi indicati venivano intesi “sia come criteri di attribuzione sia come parametri di determinazione” dell’assegno e si sosteneva la triplice funzione di tale obbligo di mantenimento:
- "assistenziale, (in quanto, attraverso la considerazione delle condizioni patrimoniali dei coniugi, tutela quello la cui situazione patrimoniale si sia deteriorata per effetto dello scioglimento del matrimonio);
- risarcitoria (in quanto, avendo riguardo alle ragioni della decisione, attribuisce rilievo, agli effetti patrimoniali, alla responsabilità per il fallimento del matrimonio);
- compensativa (in quanto, mediante il riferimento al contributo dei coniugi alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di entrambi, e diretto a compensare l’impegno personale e gli apporti economici prestati in vista del benessere della famiglia)" (Cass., Sezioni Unite, 9 luglio 1974, n. 2008).
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Con le modifiche del 1987, il vigente articolo 5, comma 6, legge n. 898/1970, dispone che “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.
Dopo la novella del 1987 si è posto il problema di interpretare la locuzione “quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”, in particolare se adottare il criterio dell’autosufficienza e del tenore di vita dignitoso (Cass. civ., I sez., 2 marzo 1990, n. 1652) o il criterio del tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, così assegnando all’assegno natura “eminentemente assistenziale” (Cass., I sez., 17 marzo 1989, n. 1322).
Inizialmente la Suprema Corte ha accolto il secondo indirizzo (Cass., Sezioni Unite, 29 novembre 1990, n. 11490) e, così, ogni decisione dei tribunali di merito in punto di assegno divorzile ha richiesto essenzialmente alle parti di provare il “tenore di vita goduto in costanza di matrimonio”.
Solo nel 2017 la Cassazione ha riproposto il primo indirizzo, sostenendo che il riconoscimento al diritto all’assegno dovrebbe articolarsi in due fasi:
“una prima fase, concernente l’an debeatur, informata al principio dell’autoresponsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali persone singole ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall’accertamento volto al riconoscimento, o meno, del diritto all’assegno divorzile fatto valere dall’ex coniuge richiedente;
una seconda fase, riguardante il quantum debeatur, improntata al principio della solidarietà economica dell’ex coniuge obbligato alla prestazione dell’assegno nei confronti dell’altro quale persona economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost.), che investe soltanto la determinazione dell’importo dell’assegno stesso” (Cass., I sez. civ., 10 maggio 2017, n. 11504).
Il recente orientamento basato sul principio di autoresponsabilità è stato in parte mitigato dall’ultimo intervento delle Sezioni Unite, secondo cui “il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale e in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi, o comunque dell’impossibilita di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma, che costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione” (Cass., Sezioni Unite, 11 luglio 2018, n. 18287).
Il passaggio interpretativo dal criterio del tenore di vita goduto durante il matrimonio al principio di autoresponsabilità – sostenuto dalla dottrina e richiamato dalla più recente giurisprudenza in materia – potrebbe cedere se, come si è anticipato in apertura, il legislatore confermasse la volontà di sopprimere “il riferimento al possesso di mezzi adeguati (o all’impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive) da parte del richiedente, come presupposto del diritto all’assegno di divorzio”, perché la fase dell’accertamento dell’an debeatur “ha finora impegnato i tribunali” (Dossier n. 92 – Schede di lettura, 30 gennaio 2019).
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