L'avvocato che compie attività inutili ha diritto al compenso?
Di recente la Cassazione si è occupata di una controversia fra avvocato ed ex cliente, avente ad oggetto il pagamento di compensi a fronte di un'attività di assistenza che non aveva prodotto alcun risultato utile per la parte assistita.
Ripercorriamo brevemente il percorso processuale per fornire il contesto di riferimento.
In primo grado l'avvocato agiva in giudizio allegando di aver assistito l'ex cliente in un procedimento penale, curandone la costituzione quale parte civile, e in un successivo procedimento civile (in cui era stata promossa un'azione revocatoria).
L'ex cliente si costituiva in giudizio negando il diritto al compenso per tali attività in quanto né la costituzione di parte civile, né l'azione revocatoria avevano portato ad alcun risultato utile e chiedendo, in via riconvenzionale, il risarcimento del danno subito.
Il tribunale accoglieva integralmente la domanda riconvenzionale e condannava l'avvocato al risarcimento del danno; il professionista agiva in appello senza successo e infine ricorreva per Cassazione.
Con ordinanza n. 3822 dell'8 febbraio 2023 la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell'avvocato in forza del principio per cui è responsabile professionalmente l'avvocato che, nell'ambito del giudizio penale, non utilizza elementi utili a propria disposizione (nello specifico, non era stato svolto alcun accertamento tecnico preventivo allo scopo di quantificare il danno) al fine di ottenere una provvisionale e che promuove tardivamente l'azione revocatoria, il tutto con un inutile dispendio di denaro.
Con tale ordinanza la Corte di Cassazione definisce ancora una volta l'ambito della responsabilità professionale dell'avvocato che abbia omesso di compiere attività processuali necessarie per tutelare l'effettivo soddisfacimento dei diritti del proprio assistito, soffermandosi in particolare sull'estensione del dovere di diligenza del difensore e sulla sua conseguente responsabilità.
Segnatamente, la Suprema Corte afferma che:
- La scelta della strategia difensiva spetta esclusivamente al difensore, il quale è tenuto ad agire nel migliore interesse del proprio assistito, anche a prescindere da (o addirittura in contrasto con) specifiche indicazioni di quest'ultimo; l'avvocato infatti deve sempre riuscire a mantenere la propria indipendenza e autonomia;
- La valutazione circa l'idoneità della strategia difensiva, pur dovendosi tenere conto anche del comportamento tenuto nel corso dell'espletamento del mandato, deve essere valutata ex ante, ossia in base al risultato che sarebbe stato ragionevolmente preventivabile in origine mediante l'adozione di una corretta attività difensiva. Di conseguenza, ogni qual volta ometta di compiere attività difensive che avrebbero presumibilmente garantito l'effettiva realizzazione dei diritti del proprio assistito o, al contrario, compia attività destinate a rivelarsi inutili (ossia che non avevano alcuna ragionevole chance di determinare un vantaggio per il cliente), l'avvocato non ha diritto al compenso per l'attività svolta e, anzi, può essere condannato al risarcimento del danno in misura corrispondente all'utilità che la parte avrebbe conseguito in caso di condotta professionale diligente.
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