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In questo periodo di Covid-19 capita ogni giorno di imbattersi nell'ultima opinione sul pagamento dei canoni di locazione a uso non abitativo.

Abbiamo letto paper interessanti, come quello di ASLA, e sentito altre voci isolate – peraltro in senso contrario – come quel collega di Montebelluna che di recente, su Facebook, invitava espressamente i conduttori a non pagare.

In generale, gli interventi normativi delle nostre istituzioni non hanno contribuito a fare chiarezza.

Se abbiamo a che fare con locatori, ormai siamo abituati a illustrare loro lo stato dell'arte della questione; a rappresentare che un atteggiamento duro e puro sconterà tempi e alea ancora più drammatici del solito; a suggerire un approccio concreto che consenta un accordo bonario soddisfacente al di là della soluzione giuridica.

In assenza di giurisprudenza consolidata, infatti, chiunque dia risposte granitiche o mente o è sprovveduto.

Nel parlare con i conduttori, di fronte all'eventuale posizione intransigente “Nulla dobbiamo perché siamo chiusi per factum principis”, cioè perché lo impone l'autorità (no, in realtà non dicono così: di solito le espressioni sono molto più colorite), spesso la situazione si è sbloccata invocando tre aspetti costantemente ignorati.

Vediamoli.

Mentre l'attività del conduttore è chiusa e il contratto di locazione è in vigore:

UNO - il conduttore continua a mantenere nell'immobile locato i propri beni aziendali, con indubbio vantaggio: potrà non piacere, ma se l'alternativa fosse rimuoverli tutti e subito, ciò comporterebbe un disagio, un costo, o entrambe le cose;

DUE - il locatore continua a essere responsabile nei confronti del conduttore sotto molteplici profili, persino per il fatto del terzo, anche con riferimento allo stato e alla sicurezza dei suoi beni aziendali, con l'ulteriore difficoltà che, stanti le limitazioni alla mobilità, per entrambe le parti è più complicato esercitare una costante vigilanza su immobile e beni al suo interno;

TRE - il diritto del locatore di disporre dell'immobile occupato continua a subire concrete limitazioni, giuridiche e pratiche.

Tutti e tre questi aspetti hanno, se non proprio un “costo”, quanto meno un "significato" patrimoniale che il conduttore in buona fede è tenuto a comprendere, se non altro per escludere la liceità della posizione “sono chiuso, quindi non pago nulla”, posizione insostenibile anche solo di principio nella gran parte dei casi.

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AGGIORNAMENTO DEL 28 SETTEMRBRE 2020

Il tribunale di Venezia si è occupato di recente di un caso in cui il conduttore di un'attività commerciale aveva dovuto chiudere da marzo a maggio 2020 a causa delle restrizioni imposte dall'emergenza sanitaria e non aveva corrisposto canoni di locazione per quasi 7000 euro, così inducendo il locatore a intimare lo sfratto per morosità.
I giudici lagunari hanno rigettato l'istanza di rilascio dell'immobile locato e disposto la prosecuzione del giudizio, nel quale le parti saranno chiamate a rideterminare il canone di locazione "almeno" con riferimento al periodo marzo - maggio 2020.
Tre i punti chiave di questa decisione:
- il conduttore che ha dovuto chiudere durante il lockdown non può automaticamente pretendere di non pagare il canone;
- il conduttore si giova del contrattodilocazione anche durante il lockdown quantomeno per il "ricovero delle attrezzature e delle materie prime relative all’attività di ristorazione";
- le parti farebbero meglio a cercare un accordo prima di agire in giudizio: è infatti probabile che il giudice non conceda lo sfratto e imponga alle parti di cercare una soluzione che "salvi" il rapporto di locazione (ed eventuali posti di lavoro).

Si tratta proprio dell'impostazione sopra esposta già a fine aprile, in tempi non sospetti: nel video sottolineamo proprio il fatto che, anche durante il lockdown, mentre l'attività del conduttore è chiusa e il contratto di locazione è in vigore, con tutte le sue conseguenze giuridiche e pratiche.

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