In un precedente contributo abbiamo introdotto il tema del diritto di recesso del socio di società di capitali e abbiamo elencato le principali cause in presenza delle quali il socio può esercitare il diritto di recedere dalla società.

Come anticipato in quella sede, il socio che recede ha diritto di ottenere il rimborso della propria partecipazione sociale in proporzione al patrimonio della società (articolo 2473, comma 3, c.c.).

In questo contributo ci soffermeremo, in particolare, sui criteri applicati in concreto per determinare il valore della quota del socio uscente.

 

Sotto tale profilo, la disciplina normativa della società a responsabilità limitata si limita ad affermare l’esistenza del diritto del socio recedente di ricevere il controvalore della propria quota ma non stabilisce espressamente e analiticamente i criteri in base ai quali il controvalore della quota deve essere determinato, tema particolarmente complesso e delicato, fonte di numerose controversie tra socio uscente e società.
È piuttosto frequente che la società offra una valorizzazione della quota che viene reputata inadeguata dal socio, il quale pretenderebbe di più.

Tale conflitto tra socio e società si verifica perché esistono molteplici criteri per la valutazione della quota sociale, ragion per cui la valutazione operata dalla società può differire anche significativamente rispetto a quella proposta dal socio. In caso di disaccordo tra la valutazione della società e quella del socio è possibile affidarsi alla valutazione di un esperto, terzo imparziale, nominato dal tribunale.

 

Criteri per la determinazione del valore della quota del socio recedente

Venendo ai criteri per la determinazione del valore della quota del socio recedente, come detto, l’articolo 2473, comma 3, c.c., si limita a prevedere che “i soci che recedono dalla società hanno diritto di ottenere il rimborso della propria partecipazione in proporzione al patrimonio sociale. Esso a tal fine è determinato tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso”.

Da tale disposizione emerge che il primo criterio di valutazione della quota sociale cui occorre fare riferimento è quello della proporzionalità rispetto al valore complessivo della società.
Ad esempio: se la società vale complessivamente 100 e il socio recedente è titolare di una quota pari al 20% del capitale sociale, tale quota sarà valorizzata 20.

Tuttavia, anche il calcolo del valore della società si può fondare su molteplici criteri, tra loro differenti (idonei, dunque, a condurre a risultati differenti).

due criteri fondamentali fanno riferimento, rispettivamente, al "patrimonio" e al "reddito":
  • Il criterio patrimoniale esprime il valore della società in funzione del valore del suo patrimonio; in altre parole, tale metodo di valutazione considera il valore del patrimonio netto (ossia la differenza tra le attività e le passività risultanti dal bilancio), valore poi opportunamente rettificato in base ai criteri contabili di valutazione utilizzati nella predisposizione del bilancio di esercizio.
    La valutazione della società con il metodo patrimoniale, fondandosi su un dato matematico, ha il merito di essere meno soggettiva rispetto a quella ottenuta con altri metodi, ma non tiene conto della capacità prospettica della società di generare reddito.
  • Il criterio reddituale determina, invece e per l’appunto, il valore della società sulla base della capacità della stessa di generare reddito: maggiori sono le prospettive reddituali di una società e maggiore è il suo valore; tale metodo sconta un certo grado di soggettività ma, per converso, ha il merito di offrire una stima del valore della società più onnicomprensiva e olistica rispetto al metodo patrimoniale.

Esistono anche i cosiddetti “metodi misti”, che cercano di non tralasciare né l’aspetto patrimoniale, né l’aspetto reddituale, nati per ovviare ai limiti connessi all’applicazione dei metodi patrimoniali, da un lato, e reddituali, dall’altro; tuttavia, a parere della dottrina economica, anche tali metodi misti soffrono dei limiti propri degli uni e degli altri.

La disciplina in materia di società per azioni, più analitica e dettagliata di quella in materia di responsabilità limitata, prevede espressamente che il valore di liquidazione delle azioni debba essere determinato "tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell'eventuale valore di mercato delle azioni” (articolo 2437-ter, comma 3, c.c.), imponendo, dunque, l’applicazione congiunta di entrambi i criteri, patrimoniale e reddituale.

Applicazione del criterio patrimoniale: due casi pratici

A ben vedere però, occorre applicare al caso concreto il criterio (o i criteri) che meglio si adattano al tipo di società interessata al recesso del socio: infatti, vi sono società che hanno un patrimonio netto modesto ma ottime prospettive reddituali e altre società dotate di un consistente patrimonio ma prive di redditività.

  • Proprio un caso di questo tipo (società ampiamente patrimonializzata ma con scarsissime prospettive reddituali) è stato recentemente sottoposto all’attenzione del tribunale di Napoli (sentenza del 16 giugno 2022). Nella fattispecie, il socio recedente contestava la valutazione del valore della propria quota, a suo parere inferiore al dovuto perché calcolato facendo perno, tra l’altro, anche sul criterio reddituale. Il giudice ha dato ragione al socio sostenendo che in tal caso fosse opportuno determinare il valore della quota affidandosi al solo criterio patrimoniale.
  • Al contrario, in caso di società scarsamente patrimonializzate ma con ottime prospettive reddituali sarebbe illegittimo e pregiudizievole nei confronti del socio recedente compiere una valutazione della quota fondata esclusivamente sul criterio patrimoniale.

A partire da gennaio 2016 gli esperti in materia di valutazione possono fare riferimento anche ai cosiddetti PIV (Principi Italiani di Valutazione), elaborati e divulgati dall’OIV (Organismo Italiano di Valutazione), i quali hanno rappresentato una svolta nel processo valutativo di imprese, aziende, partecipazioni societarie, asset, passività e strumenti finanziari.
Si tratta di un set di regole tecniche destinato ai valutatori italiani e finalizzato a conformare anche l’Italia alle best practice internazionali nell’ambito delle valutazioni.

In particolare, i principi dal P14 al P23 indicano le metodologie valutative riconosciute dai PIV.

Tutti i criteri di valutazione sono riconducibili a tre metodi valutativi principali:

  • di mercato, metodo che comprende criteri comparativi in relazione al mercato in cui opera l’impresa sottoposta alla valutazione;
  • dei risultati attesi, metodo che include criteri reddituali e finanziari;
  • del costo, metodo che consiste nell’applicazione di criteri patrimoniali.

Poiché, come visto, non sussistono criteri di valutazione univoci e la legge non offre alcun ausilio efficace per colmare tale lacuna, è possibile ovviare a tale inconveniente (anche al fine di prevenire contenziosi in materia di valutazione della quota del socio recedente) inserendo nello statuto della società indicazioni specifiche sui criteri da utilizzare per la valutazione della quota in caso di recesso.

È, infatti, possibile predeterminare per via statutaria quali criteri impiegare per calcolare in maniera oggettiva il valore di mercato della partecipazione, preferibilmente ispirandosi ai metodi offerti dalle migliori dottrine e prassi aziendalistiche, dovendosi ritenere illegittime solo le clausole che si appellano a criteri di valutazione diversi dal valore di mercato (come detto, l’articolo 2473, comma 3, c.c., precisa espressamente che il valore di rimborso della quota “è determinato tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso”).

Ad esempio, sono state ritenute lecite clausole statutarie che prevedono ex ante che, in caso di recesso, il valore dell’avviamento della società sarà calcolato in base alla redditività degli esercizi sociali precedenti.

Sarebbero, invece, illegittime clausole statutarie che predetermino il valore di rimborso della partecipazione in misura pari al valore nominale della stessa, così come le clausole che prevedono che spetti all’assemblea dei soci (ancorché all’unanimità) a predeterminare periodicamente il valore delle quote sociali in caso di recesso.

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