La riforma del diritto societario, introdotta dal decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6, ha dato nuova vita al diritto di recesso del socio della s.p.a. e della s.r.l., prima dell’entrata in vigore di tale novella limitato a casi eccezionali e soggetto a condizioni molto penalizzanti per il socio recedente.
 

La disciplina previgente prevedeva tre sole cause di recesso:

 

  • il cambiamento dell’oggetto sociale
  • la trasformazione della società
  • il trasferimento della sede sociale all’estero.

La ratio del diritto di recesso consiste nel trovare un equilibrio tra due diversi interessi contrastanti: da un lato, quello della società e, quindi, della maggioranza dei soci; d’altro lato, quello del socio di minoranza.
Prima dell’entrata in vigore della riforma anzidetta si cercava di raggiungere tale equilibrio prevedendo il voto all’unanimità per l’approvazione di tutte le delibere assembleari più rilevanti che attenessero al governo societario. Tuttavia, tale previsione mal si conciliava soprattutto con la struttura delle società per azioni, che deve essere in grado di adeguarsi alle mutevoli esigenze della realtà economica.

L’equilibrio è stato trovato nel principio maggioritario, che oggi opera anche per le modificazioni più radicali dello statuto societario; come contraltare, il socio che non abbia condiviso la decisione assunta dalla maggioranza ha a disposizione molteplici possibilità per recedere dalla società. Anche nell’ambito della società a responsabilità limitata, in cui le partecipazioni non hanno di regola un mercato, il significativo ampliamento rispetto al passato dei casi in cui è consentito il recesso costituisce lo strumento più efficace di tutela del socio di minoranza.

La disciplina del diritto di recesso si rinviene nell’articolo 2437 c.c. per le società per azioni e nell’articolo 2473 c.c. per le società a responsabilità limitata.

La maggior parte delle cause di recesso sorge da una decisione assembleare alla cui approvazione il socio recedente non ha contribuito: infatti, è legittimato ad esercitare il diritto di recesso solo il socio che risulti assente, dissenziente o astenuto rispetto alla deliberazione.

In particolare, ai sensi dell’articolo 2437 c.c. il recesso da una s.p.a. può essere esercitato, anche solo per parte delle azioni, dai soci che non hanno concorso alle delibere riguardanti i seguenti temi (è invece discussa l’ammissibilità del recesso parziale nella s.r.l., salva diversa previsione espressa dello statuto):

  1. Modifica dell’oggetto sociale, quando consente un cambiamento significativo dell’attività della società.
    La dottrina e la giurisprudenza sono concordi nel ritenere che tale cambiamento non possa essere meramente formale ma che debba modificare nella sostanza l’attività svolta dalla società. Ad esempio, la Corte di Cassazione ha ritenuto che tale causa di recesso non si configuri nel caso dell’integrazione dell’oggetto sociale con un’attività complementare nell’ambito dello stesso settore merceologico (in tal senso: Cass. 14963/2007). Un’affine causa di recesso è prevista dall’articolo 2473 c.c. in tema di s.r.l. ma la dottrina maggioritaria ritiene che in tale ambito, a differenza che per la s.p.a., non rilevano esclusivamente le modifiche statutarie, assumendo invece significato le modifiche c.d. “di fatto” dell’attività. Rientrano nella categoria la cessione dell’azienda o di un suo ramo significativo.
  2. Trasformazione della società.
    È pacifico che la disposizione riguardi trasformazioni, fusioni e scissioni sia omogenee che eterogenee. Al contrario, in tema di s.r.l. il diritto di recesso sorge espressamente in caso di fusioni e/o scissioni.
  3. Trasferimento della sede sociale all’estero.
    Tale causa di recesso è stata recentemente soppressa sia dall’articolo 2437 c.c. in materia di s.p.a., sia dall’articolo 2473 c.c. in materia di s.r.l., dal d.lgs 19/2023, che ha recepito la direttiva europea 2019/2121/UE in materia di operazioni straordinarie transfrontaliere, avente lo scopo di favorire la libertà di stabilimento delle imprese per incentivarne la crescita e la concorrenza. L’abrogazione non fa venir meno il diritto del socio ad esercitare il diritto di recesso a seguito del trasferimento della sede sociale all’estero, ma costituisce una semplice attività di coordinamento e razionalizzazione essendo la relativa disciplina ora contenuta in una legge speciale.
  4. Revoca dello stato di liquidazione.
    Tale causa di recesso è prevista anche nell’ambito della s.r.l. Nel momento in cui la società avvia la fase di liquidazione a seguito dello scioglimento, il socio matura l’aspettativa di ottenere la propria quota di liquidazione. Se lo stato di liquidazione viene revocato, la società torna ad essere operativa ma al socio non spetta più il diritto di ottenere la liquidazione della propria quota. Se lo stato di liquidazione può essere deliberato a maggioranza dei soci, per contro il socio di minoranza ha diritto di recedere.
  5. Eliminazione di una o più cause di recesso derogabili o previste dallo statuto.
    Le cause di recesso derogabili sono quelle disciplinate dal secondo comma dell’articolo 2437 c.c.: insieme a quelle statutarie, sono le uniche cause di recesso che possono essere eliminate tramite apposita deliberazione assembleare. Se oggetto della delibera fosse, invece, una delle cause di recesso inderogabili (tutte quelle contemplate dal comma 1 dell’articolo 2437 c.c.), tale deliberazione sarebbe nulla. Nell’ambito della s.r.l. è previsto il diritto di recesso solo nell’eventualità che vengano eliminate una o più cause previste dall’atto costitutivo: in tale contesto, infatti, tutte le cause legali di recesso sono espressamente inderogabili.
  1. Modifica dei criteri di determinazione del valore dell’azione in caso di recesso.
    Questa causa di recesso sussiste solo per la s.p.a. e non per la s.r.l. Ai sensi dell’articolo 2437-ter c.c., il valore di liquidazione delle azioni in caso di recesso è determinato dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni. Se le azioni sono quotate in mercati regolamentati, il loro valore è determinato facendo riferimento alla media aritmetica dei prezzi di chiusura nei sei mesi che precedono la pubblicazione ovvero la ricezione dell’avviso di convocazione dell’assemblea le cui deliberazioni legittimano il recesso. Lo statuto può stabilire criteri diversi di determinazione del valore di liquidazione, indicando gli elementi dell’attivo e del passivo del bilancio che possono essere rettificati rispetto ai valori risultanti dal bilancio, ma in tal caso deve garantire ai soci la possibilità di esercitare il diritto di recesso.
  2. Modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione.
    In tema di s.r.l., l’articolo 2473 c.c. si riferisce alla “rilevante modifica dei diritti particolari attribuiti al singolo socio”. Si discute se considerare idonee a consentire il recesso solo le modificazioni dirette o anche quelle indirette dei diritti particolari dei soci. Un esempio di modificazione indiretta si ha nel caso dell’attribuzione di diritti particolari ad altri soci: tale previsione non incide immediatamente sul contenuto dei diritti del socio ma determina, di fatto, la loro modifica.

Come già anticipato, la disciplina in tema di s.p.a. prevede anche due cause legali di recesso derogabili di cui all’articolo 2437, comma 2 c.c. In particolare, il diritto di recesso spetta, salvo che lo statuto disponga diversamente, ai soci che non hanno concorso all’approvazione delle delibere riguardanti:

  • la proroga del termine di durata della società;
  • l’introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni (ad esempio, nel caso di introduzione o soppressione di una clausola di prelazione).
La dottrina dominante ritiene che in questi due casi non sia ammesso il recesso parziale.

Inoltre, sia nell’ambito della s.p.a. che della s.r.l. è possibile esercitare in ogni momento il diritto di recesso ad nutum, dando un preavviso di 180 giorni (prolungabile da previsione statutaria fino a un anno), se la società è contratta a tempo indeterminato. La giurisprudenza dominante nega che nell’ambito delle società di capitali tale previsione si applichi estensivamente al caso di durata non indeterminata ma ulteriore rispetto all’aspettativa di vita media dei soci.

Oltre alle cause di recesso previste dagli articoli 2437 e 2473 c.c., ve ne sono altre, relative a specifiche operazioni societarie. 

  1. Aumento di capitale la cui sottoscrizione sia aperta a terzi nella s.r.l. (articolo 2481 bis c.c.): la riforma del diritto societario ha delineato la s.r.l. come abito su misura per la piccola/media impresa, in modo da conferire centralità al socio e ai suoi interessi: poiché l’elemento personalistico potrebbe venire meno aprendo a terzi la sottoscrizione delle quote societarie, si prevede il diritto di recesso in capo al socio che non abbia contribuito alla delibera di aumento del capitale sociale.
  2. Clausole di mero gradimento (articolo 2355 bis, comma 2, c.c.): nell’ambito della s.p.a., se lo statuto contiene clausole che limitano la cessione delle azioni assoggettandole al mero gradimento di alcuni organi sociali o di alcuni soci, tali clausole sono inefficaci se non prevedono a carico della società o degli altri soci un obbligo di acquisto oppure il diritto di recesso dell’alienante. Nella s.r.l. non è prevista espressamente tale condizione di efficacia ma l’opinione prevalente ritiene che abbia il diritto di recedere il socio che non ha la possibilità di cedere le proprie quote perché la cessione è subordinata al mero gradimento.
  3. Limite statutario alla trasferibilità delle quote (articolo 2469 c.c.): nell’ambito della s.p.a. la legge prevede che l’intrasferibilità delle azioni possa essere disposta solo per un massimo di cinque anni; la disciplina della s.r.l. non prevede invece alcun limite di tempo: se le quote societarie sono inalienabili, il socio ha diritto di recedere (secondo la dottrina: non se il limite alla trasferibilità delle quote è temporaneo).
  4. Esclusione della quotazione delle azioni (articolo 2437 quinquies c.c.): la disposizione prevede, per le società con azioni quotate in mercati regolamentati, il diritto di recesso in capo ai soci che non hanno concorso alla deliberazione che comporta il c.d. delisting e, cioè, l’esclusione dalla quotazione in un mercato regolamentato.

Altre tre cause di recesso valide sia per la s.p.a. che per la s.r.l. sono previste a tutela dei soci di società controllate nell’ambito dei c.d. gruppi di società. In particolare, ai sensi dell’articolo 2497 quater c.c., il socio di società soggetta a direzione e coordinamento può recedere:

  • quando la società controllante ha deliberato una trasformazione che implica il mutamento del suo scopo sociale, ovvero ha deliberato una modifica del suo oggetto sociale consentendo l’esercizio di attività che alterino in modo sensibile e diretto le condizioni economiche e patrimoniali della società controllata. Come visto, in caso di trasformazione della società o di modifica dell’oggetto sociale, sarà possibile esercitare il diritto di recesso, ma solo se a compiere queste azioni è la società di cui il socio fa parte. In questo caso la delibera è invece assunta dalla società controllante e consente il recesso del socio della società controllata solo quando le modifiche introdotte dalla decisione assembleare interessino le condizioni patrimoniali della società controllata, ossia quando incidano direttamente su quest’ultima.
  • quando a favore del socio sia stata pronunciata, con decisione esecutiva, condanna della società controllante ai sensi dell’articolo 2497-quater c.c., ossia per direzione e coordinamento abusivi: in questo caso il diritto di recesso può essere esercitato soltanto per l’intera partecipazione del socio;
  • all’inizio e alla cessazione dell’attività di direzione e coordinamento, quando non si tratti di società quotata e ne derivi un’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento e non venga promossa un’offerta pubblica di acquisto. La condizione relativa all’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento è stata interpretata in senso restrittivo dalla giurisprudenza (trib. Milano, sentenza n. 8902/2015).

Per concludere: un’ultima causa di recesso è prevista dall’articolo 34, comma 6, del d.lgs n. 5 del 17 gennaio 2003, provvedimento che aveva altresì introdotto il rito societario, oggi abrogato. In particolare, la disposizione prevede che, se viene deliberata una modifica dell’atto costitutivo introduttiva o soppressiva di clausole compromissorie, i soci che non hanno contribuito all’approvazione della delibera possono esercitare il diritto di recesso entro 90 giorni.

Al di fuori delle cause legali di recesso, vi sono anche le ipotesi di recesso introdotte tramite lo statuto della società. La riforma del diritto societario del 2003 ha puntato alla massima valorizzazione dell’autonomia privata, consentendo agli operatori economici di scegliere gli strumenti più idonei per il perseguimento dei propri interessi. La dottrina ritiene che debba trattarsi di cause non pretestuose e tali da fondare un giustificato interesse del socio a recedere. Ciò perché il recesso ad nutum è consentito dalla legge solo nelle società contratte a tempo indeterminato e non può, quindi, essere riconosciuto per via statutaria al di fuori di tale ipotesi.


 

Per una consulenza mirata in materia di diritto societario, contattaci

Inviando confermo il consenso al trattamento dei dati personali che ho inserito nel modulo disciplinato dalla Privacy Policy